Mantova, 9-11 giugno 2023

#CicloRacconti: Il difficile non è partire ma restare, serenamente.

mercoledì, 7 Giugno, 2017

Il difficile non è partire ma restare, serenamente
di Davide Stanic

Dicono che sia tutta una questione di geni. E di DNA. Quando c’è di mezzo la genetica, ho imparato, non puoi farci nulla. Si tratti di doti atletiche, talento, predisposizione naturale, predestinazione, Destino: qualunque cosa sia non ci sono “piani B” che tengano, devi accettarlo.
Da che ho memoria ho sempre adorato lo sport.
La bicicletta è stata compagna fedele che non ero che un bimbo, alto mezza pinta o giù di lì. Quando scoprivo il mondo per la prima volta, era con lei che tutto accadeva. Le prime competizioni impietose, quando scoprii di essere privo di alcun talento, la bicicletta era lì con me, muta compagna, testimone di quelle prime dolorose sconfitte di un cucciolo d’uomo. Nella difficile età dell’adolescenza la tradii per un breve periodo ma poi, in silenzio, suggellammo un patto: ci saremmo presi cura l’uno dell’altra. Era troppo grande il sentimento che mi legava a lei e la mancanza di una genetica benevola non poteva cancellarlo.
Misi in atto la sola strategia possibile: l’impegno. Una dedizione ai limiti della ferocia, un’applicazione costante e metodica. Non si videro risultati ma la disciplina auto imposta aveva un certo valore ai miei occhi ormai adulti.
I chilometri spesi insieme, mezzo milione o giù di lì, sono i notai che certificano il rispetto del patto. Si dice che, dalla sella di una bici, muti profondamente il modo di vedere il mondo. Più veloce che a piedi, più lento che in automobile. Ho trascorso così tanto tempo in sella che il mio punto di vista ormai è solo quello che posso avere da lì. E anche oggi che di tempo in piedi sui pedali ne spendo meno, quel modo di vedere le cose e di stare al mondo, mi appartiene.
Non ho infranto il patto quando le ginocchia sono andate in frantumi, quando uno sconsiderato camionista mi agganciò per un breve tour turistico, quando un brufoloso ragazzino mi travolse col suo scooter, quando nelle tante, troppe cadute, avvertii distintamente il rumore delle mie ossa che andavano in pezzi.
Non ho tradito quel patto nelle lunghe attese in sala raggi, nelle corsie degli ospedali, nelle sale d’attesa di qualche abile mosaicista medico in grado di mettere insieme i pezzi ammaccati di me. E nelle settimane a letto, in ospedale o a casa, nelle puntate in sala operatoria o nelle estenuanti e sfiancanti sedute di riabilitazione. Quando il solo obiettivo era ritornare in sella alla svelta.
Fedele compagna mi è stata la bicicletta ogni volta che ho avuto bisogno di soffocare il dolore, anestetizzarmi con una marea di chilometri, andare alla ricerca di quel filo spezzato di me.
Dicono che sia questione di geni, di DNA. Anche quel bisogno di partire, di scoprire, di mollare gli ormeggi e alzare le vele è inciso nel nostro codice segreto.
E se così fosse, quale merito mai possiederei a rinunciare al viaggio? Non ci sto. Adoro viaggiare lentamente. Adoro preparare le sacche o lo zaino, soppesare ogni singolo pezzo che entrerà in quella “casa viaggiante”, lubrificare la catena e ogni ruotismo dopo aver lavato ogni cosa. Adoro studiare le mappe, leggere le storie e i racconti, pianificare l’avventura fin dove si può, lasciando ampio margine per stupirsi del mondo e degli incontri che il Destino concederà.
Viviamo in un tempo complicato per i più. La distribuzione della ricchezza non è mai stata così iniqua. Le certezze barcollano e servirebbe pedalare con più vigore e convinzione per ritrovare un equilibrio sicuro. Ma non sempre le cose vanno come vorremmo. Le ferie che non ci sono, gli affetti che chiedono attenzione, gli impegni da onorare, le scadenze da rispettare. Vivo quella fase dell’esistenza in cui tutto mi allontana da ciò che desidererei vivere. E so che il vigore non mi accompagnerà per sempre. Potrei arrabbiarmi, vivere una vita rancorosa e triste. No, non voglio che sia così. Ho imparato nei lunghi giorni di convalescenza che la vita è come un vecchio vinile, lato A e lato B. Che non può esserci l’uno senza l’altro, come notte e giorno, yin e yang, freddo e caldo e potrei continuare.
Mi fermo. Apro un libro, navigo nel mondo virtuale, ascolto storie intorno a un fuoco, con gli amici di sempre e quelli nuovi. Verrà il tempo per una nuova partenza. E se non sarà così, sarà stato un po’ anche il Destino. Per quanto possibile continuo a pedalare. Il patto è ben saldo.

Il difficile non è partire ma restare, serenamente
di Davide Stanic

Dicono che sia tutta una questione di geni. E di DNA. Quando c’è di mezzo la genetica, ho imparato, non puoi farci nulla. Si tratti di doti atletiche, talento, predisposizione naturale, predestinazione, Destino: qualunque cosa sia non ci sono “piani B” che tengano, devi accettarlo.
Da che ho memoria ho sempre adorato lo sport.
La bicicletta è stata compagna fedele che non ero che un bimbo, alto mezza pinta o giù di lì. Quando scoprivo il mondo per la prima volta, era con lei che tutto accadeva. Le prime competizioni impietose, quando scoprii di essere privo di alcun talento, la bicicletta era lì con me, muta compagna, testimone di quelle prime dolorose sconfitte di un cucciolo d’uomo. Nella difficile età dell’adolescenza la tradii per un breve periodo ma poi, in silenzio, suggellammo un patto: ci saremmo presi cura l’uno dell’altra. Era troppo grande il sentimento che mi legava a lei e la mancanza di una genetica benevola non poteva cancellarlo.
Misi in atto la sola strategia possibile: l’impegno. Una dedizione ai limiti della ferocia, un’applicazione costante e metodica. Non si videro risultati ma la disciplina auto imposta aveva un certo valore ai miei occhi ormai adulti.
I chilometri spesi insieme, mezzo milione o giù di lì, sono i notai che certificano il rispetto del patto. Si dice che, dalla sella di una bici, muti profondamente il modo di vedere il mondo. Più veloce che a piedi, più lento che in automobile. Ho trascorso così tanto tempo in sella che il mio punto di vista ormai è solo quello che posso avere da lì. E anche oggi che di tempo in piedi sui pedali ne spendo meno, quel modo di vedere le cose e di stare al mondo, mi appartiene.
Non ho infranto il patto quando le ginocchia sono andate in frantumi, quando uno sconsiderato camionista mi agganciò per un breve tour turistico, quando un brufoloso ragazzino mi travolse col suo scooter, quando nelle tante, troppe cadute, avvertii distintamente il rumore delle mie ossa che andavano in pezzi.
Non ho tradito quel patto nelle lunghe attese in sala raggi, nelle corsie degli ospedali, nelle sale d’attesa di qualche abile mosaicista medico in grado di mettere insieme i pezzi ammaccati di me. E nelle settimane a letto, in ospedale o a casa, nelle puntate in sala operatoria o nelle estenuanti e sfiancanti sedute di riabilitazione. Quando il solo obiettivo era ritornare in sella alla svelta.
Fedele compagna mi è stata la bicicletta ogni volta che ho avuto bisogno di soffocare il dolore, anestetizzarmi con una marea di chilometri, andare alla ricerca di quel filo spezzato di me.
Dicono che sia questione di geni, di DNA. Anche quel bisogno di partire, di scoprire, di mollare gli ormeggi e alzare le vele è inciso nel nostro codice segreto.
E se così fosse, quale merito mai possiederei a rinunciare al viaggio? Non ci sto. Adoro viaggiare lentamente. Adoro preparare le sacche o lo zaino, soppesare ogni singolo pezzo che entrerà in quella “casa viaggiante”, lubrificare la catena e ogni ruotismo dopo aver lavato ogni cosa. Adoro studiare le mappe, leggere le storie e i racconti, pianificare l’avventura fin dove si può, lasciando ampio margine per stupirsi del mondo e degli incontri che il Destino concederà.
Viviamo in un tempo complicato per i più. La distribuzione della ricchezza non è mai stata così iniqua. Le certezze barcollano e servirebbe pedalare con più vigore e convinzione per ritrovare un equilibrio sicuro. Ma non sempre le cose vanno come vorremmo. Le ferie che non ci sono, gli affetti che chiedono attenzione, gli impegni da onorare, le scadenze da rispettare. Vivo quella fase dell’esistenza in cui tutto mi allontana da ciò che desidererei vivere. E so che il vigore non mi accompagnerà per sempre. Potrei arrabbiarmi, vivere una vita rancorosa e triste. No, non voglio che sia così. Ho imparato nei lunghi giorni di convalescenza che la vita è come un vecchio vinile, lato A e lato B. Che non può esserci l’uno senza l’altro, come notte e giorno, yin e yang, freddo e caldo e potrei continuare.
Mi fermo. Apro un libro, navigo nel mondo virtuale, ascolto storie intorno a un fuoco, con gli amici di sempre e quelli nuovi. Verrà il tempo per una nuova partenza. E se non sarà così, sarà stato un po’ anche il Destino. Per quanto possibile continuo a pedalare. Il patto è ben saldo.