Il racconto degli amici del BAM! Dario e Alessandro in bici sull’Etna.
L’avventura annuale scelta questa volta dai “Ruji” (noi compagnia di ciclisti anomali) era scalare il vulcano attivo più alto d’Europa.
Senza pensarci troppo la mia impulsività e l’istinto mi hanno fatto dire di si a quell’idea, venuta fuori un pò per scherzo, e soprattutto dopo l’ennesima birra di quella serata dove si doveva decidere che sfida affrontare.
Porsi un’obiettivo per noi Ruji non vuol dire poi scatenarsi in allenamenti mirati, snervanti, tabelle d’allenamento e tutto quello che ne consegue; ma semplicemente trovarsi quando si può, pedalare, prendersi in giro, sorridere, aiutarsi, ristorarsi con una buona birra, e riprendere la via del ritorno.. Qualsiasi sia il giro scelto.
Noi Ruji sappiamo di essere dei ciclisti anomali, perchè quello che ci contraddistingue è la tenacità testarda di affrontare qualsiasi avventura senza mai mollare, magari lenti, magari si scende e si cammina, magari si impreca ma alla fine ci si aiuta e si arriva tutti con un gran sorriso.
Io non sono mai stato un gran scalatore, e normalmente dico “aspettatemi su”, e mi metto a pedalare con il mio passo, lento ma efficace, mi dico sempre “prima o poi anch’io arrivo”.
Quella mattina dopo una colazione più che abbondante, ci si mette in sella con le gambe e le natiche un pò provate dall’Etna extreme marathon del giorno prima. I primi colpi di pedale sembrano un pò arrugginiti, le ginocchia cigolano, le cervicali sembrano gia stanche complice il letto estraneo; ma tutto svanisce subito dopo aver aggirato il colle, tutte le sensazioni si ammutoliscono, sullo sfondo il vulcano, imbiancato dalla neve di qualche giorno prima in contrasto con le lingue nere di vecchie colate, il cielo limpido sembra avvicinarlo, sembra averlo a portata di mano, sembra..
I km passano la salita si fa sempre più dura e lui sembra sempre distante uguale.
“Ma quanto saranno difficili questi 3300mt da scalare” mi chiedevo; metro dopo metro la pendenza continua ad aumentare costantemente, a braccetto con il terreno sempre piu impegnativo.
Prima terra battuta, per poi trovarsi in un lieve strato di cenere vulcanica che aumenta fino a ritrovarsi con le ruote sepolte, dove la pendenza non aiuta, e procedere diventa davvero una questione di delicata potenza sui pedali per non perdere trazione ed equilibrio, ciò comporta un gran dispendio di energie; lui è sempre li, a momenti sembra irraggiungibile!
I km diventano sempre più lunghi da percorrere, le soste più frequenti, e per non farci mancare nulla arriva il mal di testa…”dai Ale siamo a 2500, meno 800 e ci siamo“.
Si ok, ma alcuni strappi toccano pendenze del 30% e il terreno non aiuta, ma tengo duro. Dopo l’ennesimo scoglio superato, mi rendo conto che la testa comincia a girare, “ok Ale al prossimo strappo si scende che è meglio”
Ma il giramento di testa non passa, rimane, appena la pendenza chiede energie il mio cuore schizza fuori soglia. Sosta, pausa di 2 minuti, mangio un pò e mi godo il panorama… magari! Non ho affatto fame, ho la vista annebbiata, e la testa mi esplode. Piano piano mi rimetto in marcia, a tratti pedalando e a tratti camminando. Dopo l’ennesimo muro senza orizzonte mi accorgo di essere arrivato a Torre del Filosofo, ultimo bivacco a quota 2900mt.
Ci rifocilliamo, cerco di riprendermi, e mi obbligo a mangiare qualcosa, ma il mio stomaco rifiuta il cibo, e mi rendo conto che non sto affatto bene, c’è qualcosa che non va.
Da li in poi c’è un decreto che vieta la salita ai crateri sommitali per questioni di sicurezza, ma la testardaggine che contraddistingue i Ruji ci impone di caricarci le bici in spalla e di ripartire per gli ultimi 400mt. “Caspita Ale come farai?” “si fa, si fa“, mi dico. Una persona qualificata ci dice che la giornata è buona, e ci spiega che sentiero seguire, quali attenzioni osservare per aggirare il cratere, e scendere a nord per una discesa, che a detta sua è da orgasmo… E così si rivelerà!
Appena ripartiti sento subito che la sosta è servita a poco, il respiro si fa subito affannato, la testa continua ad esplodermi, e ricominciano i giramenti di testa.
Subito il sentiero comincia bene, da stare quasi in sella, ma dopo un centinaio di metri si dimostra proibitivo, quasi anche a piedi! Ad ogni passo si sprofonda nel ghiaione fino a metà stinco, per procedere di un passo bisogna farne tre e la pendenza è metro dopo metro sempre maggiore. Le soste sono sempre più frequenti, tra un giramento di testa e l’altro arriva a farmi compagnia la nausea. “Dai Ale tien botta” a 3100 il malessere è tale che se guardo oltre a un metro mi gira tutto, ho le vertigini, la vista annebbiata, si fa avanti anche qualche conato di vomito e mi rendo conto che il mio equilibrio è precario.
Sento che i miei sabotatori mentali stanno avendo il sopravvento…comincio a preoccuparmi!
Ma lui è li, ormai lo posso guardare negli occhi, sento l’odore di zolfo, sento il calore, percepisco tutta la sua superiorità.
“Dai Ale ora è vietato mollare, ne mancano solo 100” sono stati i 100mt di dislivello più duri della mia vita!
Dopo 5 interminabili ore eccoci tutti lassù.
La sensazione infantile di sentirsi dei supereroi.
Difficile descrivere cosa si prova scalare una montagna per la prima volta.
Dopo un pò si accorge che non si è soli, lui è li sotto i piedi, vivo, impone rispetto, perchè è lui che ci sta regalando tutto lo spettacolo.
Ci si rende conto che conquistare quei infiniti 360 gradi creano vulnerabilità, ci si sente piccoli e impotenti.
Passato il fiume di emozioni, le pacche sulle spalle, i sorrisi, e fatte le foto, tornano a bussare nella mia testa i sabotatori, ricordandomi i giramenti, l’emicrania e la nausea.
“Dai Ale può solo andar meglio, più in alto di così non si può andare! Godiamoci la discesa“.
Ci mettiamo alla ricerca del sentiero spiegatoci, superata una vecchia colata lavica lo individuiamo; aggirati il crateri centrali verso nord, ci troviamo di fronte a una spettacolare distesa infinita di neve e rocce che spuntano nel bianco candido, un vero e proprio incanto!
La via si intuisce nella neve fresca, e aiutati dal gps si scende; siamo i primi a passare dopo la nevicata, il paesaggio è immacolato, soli 10cm di neve ci separano dal suolo e la discesa diventa davvero da orgasmo. In tanti anni di bici non ho mai provato tale esperienza!
Dopo i lunghi km di discesa ci fermiamo a godere dello spettacolo, ma qui, dentro di me, qualcosa non funziona, non riesco a liberare la mente dal malessere, e assorbire tutto lo splendore che mi circonda. Sto male, tanto male, da troppe ore ormai. Ho sicuramente sottovalutato qualcosa, ma cosa?. “Caspita Ale sei un’ironman, di gambe e di testa ne hai, cosa c’è che non va? Ragiona.”
Mi stendo a terra su un fianco, chiudo gli occhi e cerco di sopraffare il malessere pensando, comincio a ragionare, e con calma a tirare delle somme.
Dopo un bel pò, distratto dai miei pensieri mi rialzo e assieme al mio malessere ricomincio a pedalare con il mio passo, lento ma efficace.
Prima o poi anch’io arrivo.
Ho sottovalutato cose banali, che poi tanto banali non lo sono;
L’altitudine è stata la sofferenza maggiore, la carenza di ossigeno e la mancanza di alimentazione mi hanno fatto perdere concentrazione, gestendo male le mie energie, il mio fisico e le mie capacità.
Ma sono felice di questa esperienza, ho imparato molto.
Grazie ai Ruji sempre vicini (cosa non sempre facile).
Per quanto poco possa essere, anch’io ho scalato Il Mio Etna.
Alessandro.
PH Dario Codato.